Colgo l'occasione per chiarire la mia esclusione del Guerriero della Strada e dei suoi epigoni dall'ombrello estetico del Dieselpunk, sperando di non ricevere una visita da parte di un Ayatullah del Rock and Roll arrabbiato...
Un po' di precisazioni prima.
In primo luogo è bene dire che la mia è un'opinione divergente. L'inclusione del post-apocalittico trova un certo consenso nelle comunità Dieselpunk che conosco in rete.
Inoltre è bene notare che, a differenza di altri generi, non esiste un ideatore del Dieselpunk; le produzioni chiaramente etichettate come tali sono poche e non esiste niente di simile alla "trilogia dello sprawl". In pratica, è un genere poco conosciuto, spesso non riconosciuto (e magari sommariamente aggregato allo steam) e poco definito. Questo ha il vantaggio di risparmiarci, ancora per un po', le produzioni "di genere", spesso sifiliche appropriazioni di un'immaginario amato da alcuni appassionati al fine di generare flussi di cassa, ma rende difficile trovare un equilibrio tra un'atteggiamento "tabula rasa", per quale è dieselpunk solo quello che l'autore definisce tale, e un atteggiamento "a bidone" in cui basta una "Matilda the Hun" a rendere un film Dieselpunk.
Se nomino Dieselpunk ad una persona che ha una certa conoscenza del termine richiamo alla sua mente un immaginario abbastanza vasto il quale non solo ruota intorno ai poli dei sistemi totalitari, del "Jazz Age" e del conflitto mondiale, ma che prevede in linea di massima una società organizzata. L'eroe Dieselpunk può muovere al di fuori di questo ordine, al fine di imporrene uno nuovo o semplicemente di perseguire il proprio interesse individuale, ma non può certo ignorarlo come l'eroe solitario che affronta terre desolate e desertiche dietro il rombante motore di una V8.
Inoltre spesso e volentieri l'immaginario post-apocalittico è considerato come parte dell'immaginario Cyberpunk. A tutti gli effetti, al di fuori degli incubi urbanistici Cyberpunk vi è spesso una desolazione desertificata. Inoltre, tra le fonte citate nel Chromebook 2020, vi è proprio Mad Max.
Per questi motivi etichettare questi film come Dieselpunk crea confusione e mi pare poco proficuo.
Tutto l'immaginario dove, a seguito di una catastrofe provocata dall'uomo, i governi sono caduti e uomini abbrutiti al fine di superare nuovamente lo stato di natura Hobbesiano si organizzano in piccole comunità stanziali o in bande seminomadi è, a mio parere, meglio definito dal termine "post-apocalittico".
Questo genere peraltro ha avuto un suo periodo di gloria cinematografica in passato, quando numerosissime pellicole di produzione italica e qualità
tendente allo scarso cercavano di sfruttare il successo di "road warrior".
In questi film spicca moltissimo l'elemento "punk"; può inoltre essere proficuo distinguerli dal post-apocalittico "parziale", in cui la violenza apocalittica ha, in buona sostanza, lasciato in piedi le vecchie strutture politiche (ad. esempio in molti racconti di Dick ed in "Blade Runner", che per l'appunto è tratto da un suo romanzo) nelle quali l'elemento "punk" tende a mancare.